Di Redazione 6-mar-2018 16.11.03

Industry 4.0 a che punto siamo in Italia?

È stato chiesto dalla redazione di Digitalic a Marco La Rosa, Direttore Generale Operation, Sales & Delivery Services in TT Tecnosistemi. Ecco l'intervista integrale.

A che punto è l’Industry 4.0 in Italia?

E’ ancora all’inizio. A parte poche aziende con un Management fortemente innovativo, Industria 4.0 è ancora una cosa di cui si discute molto, ma di cui si vede poco.

Tenendo conto non solo degli investimenti che richiede, ma del salto culturale e dell’impatto che ha sulle parti vitali dell’azienda 4.0, è un’azione fortemente Top-Down. Senza una presenza forte e direttive decise da parte del Top Management difficilmente riesce a decollare. La sensazione è che si stia guardando più ai benefici fiscali che non alla digitalizzazione della produzione o addirittura l’ideazione di nuovi prodotti.

In cosa siamo più carenti rispetto allo sviluppo dell’Industry 4.0?

I problemi principali riguardano le dimensioni delle aziende italiane e una tendenza di noi italiani a non accettare le innovazioni. Si pensi solo come esempio alla difficoltà ad accettare i sistemi di pagamento elettronico e il ritardo che abbiamo sull’adozione di sistemi di commercio elettronico, dove siamo tra gli ultimi in tutte le classifiche dei Paesi industrializzati.

Le “micro-minidimensioni di molte aziende, costituisce un importante fattore di ritardo rispetto al cambiamento. In molte di queste il problema non è portare la 4.0, ma addirittura partire da ancora molto più indietro.

Per esemplificare, ci siamo trovati ad analizzare casi dove era stata acquistata una nuova macchina “I 4.0” per usufruire della Legge Calenda, ma in azienda non esisteva un sistema gestionale a cui collegarla.

Un ulteriore aspetto critico è quello legato alla velocità con cui si affronta l’evoluzione. Per fare un esempio, se da un lato l’Università è sicuramente il luogo corretto dove cercare lo “stato dell’arte” per ciò che è innovazione, dall’altro, almeno in Italia, è quasi impossibile appoggiarsi a tali istituzioni per sviluppare un progetto attuativo, visti i tempi burocratici che le limitano moltissimo.

Il piano Calenda ha avuto effetti? In che modo, in base alla vostra esperienza?

Sicuramente va riconosciuto al piano Calenda una grande importanza in particolare per aver contribuito a “smuovere le coscienze”, ovvero a mettere l’industria italiana di fronte ai suoi ritardi ed alle imprese di servizi a confrontarsi concretamente col loro portafoglio di soluzioni Innovative.

Volendo fare un passo avanti, si sarebbe potuto dare maggiore rilevanza alla componente “intelligente” di I4.0, cioè il software che fa muovere l’azienda, i suoi processi e la sua governance: nella impostazione attuale “il Software”, è stato invece posto molto in secondo piano privilegiando “il ferro” ovvero la Macchina Utensile.

In altre parole sembra che il MISE si sia mosso con la stessa mentalità degli imprenditori italiani per i quali ancora oggi è molto più facile spendere centinaia di migliaia di euro per i macchinari ma non sono propensi a spenderli (spesso basta molto meno) per il software, cioè per l’intelligenza in grado di integrare ed automatizzare i processi, analizzare i dati prodotti dalle macchine, rendere possibili nuovi modelli di business: rendere la Fabbrica e l’Azienda più competitiva sui mercati.

Quali sono le tecnologie che ancora devono essere diffuse per avere un buon livello di trasformazione delle nostre industrie in Industry 4.0?

Le tecnologie come è noto sono tante e spaziano dalla Co-Robotica alla Meccanica additiva alle tecnologie IoT, alla Realtà Virtuale ed Aumentata etc… Industria 4.0 significa, comunque, soprattutto Smart Factory ovvero Fabbrica Intelligente. Ma una Smart Factory è tale se è in grado di realizzare Smart Products, ovvero prodotti intelligenti, attraverso Smart Processes. Detto per le vie brevi, tecnologie IoT che applicate ai prodotti li rendano “parlanti” e tecnologie di analisi dati (oggi diciamo Big Data) in grado di produrre nuove informazioni ed automatizzare processi prima scorrelati.

Vogliamo però sottolineare un aspetto a nostro parere ancora oggi molto sottovalutato e sul quale sembra che non ci sia da parte delle aziende la giusta attenzione nello sviluppo di strategie I4.0: la Cyber Security.

Iniziare un progetto di Smart Factory che prevede sempre la “messa in rete” delle Macchine Utensili senza predisporre un piano di sicurezza da attacchi esterni è estremamente pericoloso: lo dicevamo già per le “semplici” Stampanti attaccabili dall’esterno, figuriamoci oggi per le “Macchine di Produzione

Peraltro dobbiamo dire che la Cyber Security applicata ai “sistemi di fabbrica” PLC, Scada etc. è un settore molto specialistico che richiede competenze molto verticali, da ricercare in partner consolidati su queste tematiche.

Quali sono i freni, se ce ne sono, che rallentano l’adozione delle tecnologie legate all’Industry 4.0 (sicurezza, difficile interoperabilità tra i sistemi; difficoltà nel gestire il cambiamento)?

Come detto in precedenza, a nostro parere, la dimensione tipica delle aziende italiane e la mancanza di un forte impegno da parte del Top Management, sono oggi dei freni importanti all’adozione delle nuove tecnologie. Anche l’elenco suggerito nella domanda ne aggiunge altri, tutti presenti in modo attivo nei ritardi che si riscontrano nei progetti 4.0.

In particolare sottolineiamo la “difficoltà nel gestire il cambiamento”: è possibile gestire questo cambiamento se prima non si cambiano le “teste” di chi questo cambiamento lo deve promuovere?

Prendiamo la distanza culturale che è sempre esistita tra il mondo ICT e quello OT (Operation Technology) quindi il mondo dell’Ingegneria, della progettazione, della produzione, della “Fabbrica” per capirci.

Potremmo quasi dire che il vero IoT non è quello dei tag e dei sensori, ma quello dell’unione delle parole IT-OT = IOT.

Se si riesce a “far parlare” e a mettere a fattor comune le competenze delle Risorse Umane del mondo OT con quelle del mondo IT allora è possibile realizzare la Smart Factory.

Per un momento lei ha la bacchetta magica e può decidere cosa cambiare in Italia per ottenere un’adozione diffusa dell’Industry 4.0. Cosa farebbe?

In qualche modo abbiamo già risposto a questa domanda in precedenza.

Se avessimo la bacchetta magica, comunque, la useremmo per dare ai nostri imprenditori ed ai loro manager una maggiore propensione al cambiamento facendo capire loro che questo immancabilmente significa investire dei soldi e rischiare di sbagliare. Quest’ultimo punto è fondamentale: la velocità dell’innovazione è tale che non consente più di appoggiarsi a soluzioni sempre “stabili e consolidate”; da ciò ne deriva che se non si accetta il “rischio di errore”, il rischio opposto è quello di non partire mai e scoprire troppo tardi che altri ci hanno sorpassato.

Chi sono i partner ideali per la diffusione dell’industria 4.0?

Premesso che ormai è chiaro a tutti che con la velocità della innovazione digitale dei nostri tempi e con la diversificazione delle “idee” e dei relativi sistemi che le realizzano, nessuno è più in grado di pilotare da solo il proprio sviluppo.

Lo vediamo attraverso la nascita di moltissime start-up da un lato (pensiamo solo alle Fin-tech che stanno rivoluzionando il mercato Finance con prodotti e servizi che le “vecchie” banche non sono in grado di fornire) e con la specializzazione sempre più necessaria, specialmente su alcuni temi: Big Data, Realtà Virtuale, Cybersecurity.

Le tecnologie, i sistemi, le soluzioni coinvolte nei progetti 4.0 richiedono quindi la presenza di esperienze e di know-how che spesso vengono da ambienti tecnologici e di processo diversi.

Quello che conta quindi maggiormente è la capacità di “fare Rete” per ciò che riguarda competenze e soluzioni e di Governo di progetti complessi.

Fondamentale sarà quindi rivolgersi a partner con queste caratteristiche e che abbiano come ulteriore valore aggiunto quello di saper guardare contemporaneamente alla tecnologia informatica ed a quella dei processi di Fabbrica, come detto in precedenza: IT+OT.

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